Prima parte

Lo scorso 11 aprile comincio la giornata leggendo una frase di Osho: “La parola coraggio è interessante: viene dalla radice latina cor, che significa cuore, quindi essere coraggiosi significa vivere con il cuore”. Non avrei mai pensato che la stessa sera avrei provato dal vivo il senso di quelle parole.

Giovedì, Corbetta, ore 23:00 circa: esco con la mia amica del cuore Teresa da un pub dove abbiamo aiutato la titolare, un’amica, per un evento esoterico a scopo benefico intitolato Magia stellare. Siamo stanche ma soddisfatte, la serata è andata bene.

È buio e sta piovendo, il parcheggio e la strada sono poco illuminati e mi cade l’occhio su un personaggio singolare che parrebbe un anziano e che cammina sul marciapiede curvo su se stesso, con la testa rivolta in basso, arrancando a fatica e trascinando due borse della spesa. Lo indico a Teresa che mi consiglia di non guardarlo. Effettivamente disturba l’occhio, e soprattutto fa male al cuore.

Ci incamminiamo verso le rispettive auto, chiacchieriamo una decina di minuti e ci congediamo. Salgo in macchina e mi dirigo a casa, ma uscendo dal parcheggio rivedo il vecchio. Lentissimo, ha percorso pochi passi appena. È piegato in due, con il volto verso il suolo, e quei due sacchetti di plastica. Sta piovendo e non ha l’ombrello. Dove abiterà, e quanto tempo gli ci vorrà per rincasare?

Proseguo qualche centinaio di metri, pensieri e domande mi affollano la mente. Come posso lasciarlo lì?. Parlo sempre di aiuto, cuore, generosità, amore universale, e quando arriva il momento di mettere in pratica la mia filosofia di vita  vado oltre e mi lascio vincere dal timore, dalla diffidenza, dal pericolo. Chi è costui? E se estraesse un coltello, una pistola? Se mi aggredisse? Mi attraversa un turbinio di riflessioni ed emozioni in rapida sequenza. Inchiodo e inverto la marcia. Non importa se estrarrà un’arma, non posso lasciarlo lì. È giusto, e mi illudo che sarò ricompensata. Non posso fare a meno di tornare indietro e accompagnarlo a casa.

Entro in un parcheggio e mi fermo di fronte a lui. Scendo e resto a qualche passo di distanza. “Buonasera, posso aiutarLa? Vuole che La accompagni a casa?”. È anziano. Mi risponde ma per l’agitazione non capisco cosa. Non vuole un passaggio. Mi guardo in giro, non c’è nessuno, è buio e piove, una pioggerellina costante che mi ha già inzuppato abbastanza i vestiti. Insisto. “Dove abita?”, e lui: “In fondo alla strada”, indicando una direzione. Mi volto, la via è molto lunga. Vinco  la paura e l’ansia e riattacco: “Vuole un passaggio? Sta piovendo, La prego”. Finalmente accetta. Mi avvicino, non senza timore, e prendo le borse per metterle in auto. Mi assale un odore terribile, proviene dalle borse o da lui? Il gradino del marciapiede è alto e gli allungo una mano, “La aiuto?”. Non vuole, lentamente vuole farcela da solo. Sono momenti interminabili, ogni suo piccolo movimento sembra non finire mai. Vorrei farlo sedere davanti ma dice che non riesce e che preferisce dietro, “Siamo a posto”, penso, “così  gli è più facile aggredirmi”. Ma non demordo, devo portare quell’uomo a casa a qualunque costo. Impiega altri infiniti minuti per sedersi in macchina, piegato in due, con la spina dorsale ad angolo retto. Finalmente chiudo la portiera e salgo in auto anche io.

Seconda parte

Mi assale quell’odore nauseabondo, nonostante la pioggia e il freddo devo abbassare il finestrino per non sentirmi male. Ma non importa, devo portarlo a casa. Ho così paura che afferro solo qualche sua parola sparsa: i buoni spesa, il supermercato, i  servizi sociali. Gli chiedo stupidamente se è di ritorno dalla spesa e lui conferma, qualche ora dopo realizzerò che non ci sono supermercati in zona aperti la sera. Sono confusa, agitata, terrorizzata, ma in fondo di che cosa? Del diverso, di ciò che non conosco, condizionata da ciò che leggo e sento e che trasmettono i mass media, rapine, omicidi, violenze e chi più ne ha più ne metta. Ecco stasera tocca a me, pazienza, ho deciso che devo riportarlo a casa. Queste parole risuonano dentro di me come un mantra ripetendosi all’infinito. Raggiungiamo un incrocio e mi dice che posso fermarmi. Sta ancora parlando, delle banche. Ma cosa dice esattamente? Ripete più volte le parole capitale umano. Cerco di afferrare il senso, mentre mi chiama continuamente signora. “Signora Le sembra giusto?”, “Vede signora, il capitale umano è molto più importante del capitale materiale”, “Le banche …”. Non capisco quasi niente. Per fortuna siamo arrivati, è un incrocio e non vedo case ma vuole scendere lì. Prendo le borse, smonto dall’auto e le appoggio sul marciapiede. Trascorrono altri Interminabili minuti prima che riesca a scendere. Di nuovo mi avvicino e gli porgo la mano ma non la vuole, dice che lentamente riuscirà da solo. Resta appoggiato alla macchina e parla ancora di capitale umano, mi colpisce perché qualche anno fa mi aveva molto toccato l’omonimo film di Virzì. Perché continua a parlarmi di questo? Gli dico “Mi scusi, dovrei proprio andare”. Mi saluta, prende le borse e con la lentezza che gli appartiene si incammina, chissà verso dove.

Risalgo in macchina, l’aria è irrespirabile. Viaggio per mezz’ora verso casa con i finestrini aperti e ripercorro mentalmente l’ultima manciata di minuti con quell’uomo. Forse non aveva casa, forse era un clochard. Però che strano, nonostante il cattivo odore gli abiti erano puliti, le mani bianche, intonse e giovani, il volto senza molte rughe. Il giorno dopo mi rendo conto che non era assolutamente bagnato, che aveva la testa e gli abiti asciutti nonostante tutto quel tempo sotto la pioggia.

Mentre cerco risposte che non troverò ripenso alla frase di Osho.

Forse per la prima volta ho vissuto il coraggio, con il cuore.