Prima di giudicare una persona cammina nei suoi mocassini per tre lune.
(Proverbio degli Indiani d’America)
Miriam, una donna sulla cinquantina, giunge disperata nel mio studio. Racconta di un forte litigio con la figlia quasi trentenne: i toni pacati a poco a poco si sono fatti sempre più forti e offensivi. Entrambe sono giunte a proferire parole triviali, dicendosi le peggiori cose, che a mio avviso spiegano molto delle loro vite, del loro sentire e del loro tanto soffrire. Non ci si rende conto infatti che quando si vomita addosso ad altri insulti, offese e maledizioni, si scarica tutto il proprio malessere immagazzinato nell’arco della propria intera esistenza. Parlo di quella rabbia che si è accumulata, rimanendo inesplosa per chissà quanto tempo, e che ha aspettato pazientemente il momento giusto per uscire, o meglio il pretesto più adatto per fare il botto.
Primo passo. Miriam mi ha chiesto aiuto per superare questo momento di profonda crisi e io, in qualità di counselor, l’ho accolta. Abbiamo valutato insieme l’intera questione dal suo punto di vista. Ho ascoltato non solo le parole ma anche le emozioni e il sentire profondo di questa donna. Nel mio studio Miriam ha emesso un grido di aiuto un po’ più soffocato rispetto a quello urlato a squarciagola alla figlia, ma non per questo meno intenso o meno doloroso. Il suo viso e il suo corpo hanno espresso desolazione, disperazione, disillusione; la voce rauca ha scandito parole e frasi a volte interrotti da pause e lacrime; i suoi occhi e tutto il suo essere sono infine esplosi in un intenso pianto liberatorio. E, ancora, sensi di colpa, dubbi e riflessioni: se non avessi detto o fatto; se avessi detto o fatto. L’ho aiutata a compatire se stessa (com-patire nel senso di soffrire insieme) e ad accogliersi senza giudizio.
Secondo passo. Prima di giudicare una persona cammina nei suoi mocassini per tre lune. Con grande sforzo porto Miriam a rivalutare l’intera questione dal punto di vista della figlia. Non è facile ma insieme cerchiamo di immaginare come la figlia si possa essere sentita, il perché di alcune frasi o parole pronunciate o urlate. Proviamo in maniera empatica a sentire il suo sentire. La com-passione nei confronti della figlia a poco a poco s’insinua dentro Miriam che di nuovo scoppia in lacrime. La accolgo abbracciandola e rassicurandola. Commentiamo il suo stato d’animo. Ci ripromettiamo di vederci la settimana prossima.
Terzo passo. Miriam mi chiama il giorno dopo emozionata e felice, desiderosa di raccontarmi. Appena è rientrata in casa, la figlia le ha chiesto, come se nulla fosse accaduto: “Mamma, sto andando alla Tim a sbloccare la SIM, devo fare altro? Hai bisogno?” Miriam la guarda e le corre incontro. Si abbracciano spontaneamente, con semplicità e naturalezza.
L’Amore ha vinto, come sempre, come è giusto.
L’amore è l’unica vera medicina del cuore che riesce a lenire qualsiasi sofferenza ma che talvolta bisogna per forza provare per capirne il vero significato.
Bello l’aforisma dei mocassini, da tenere sempre ben presente in ogni circostanza della nostra vita…
È una bellissima storia di lacrime e gioia…personalmente più volte mi è capitato di avere conflitti con mio figlio è mi sono accorta che se sto in atteggiamento di apertura tutto cambia…e poi è vero che prima di giudicare l’altro bisognerebbe spostarsi dall’emozione e cercare di comprendere anche il punto di vista dell’altro per scoprire che ognuno ha le proprie ragioni ed ognuno sta combattendo la propria guerra interiore personale